di H.Mriga
A causa della naturale
inclinazione umana ed animale in genere all'espansione territoriale, il terzo figlio di Adamo compie l’ennnesimo viaggio verso
l’emisfero australe, ugualmente agli altri due.
In questo caso però Seth, o per meglio dire i Sethiti, si sono
incrociati con gli eredi occidentali di Caino.
Per questo la Genesi fa
derivare il primo Lamech da Caino, anziché da Abele, o direttamente da Adamo
come Seth. La linea di trasferimento di
alcuni guppi cainiti verso occidente, dopo aver raggiunto i Mari del Sud
passando a poco a poco dalla zona subartico-orientale a quella sud-orientale
attraverso il Pacifico, è da cercare infatti in direzione pacifico-atlantica per
il tramite dell’Oceano Indiano. Ciò è
potuto avvenire solamente sfruttando una situazione geografica alquanto
differente rispetto a quella odierna, principalmente per via dell’esistenza da
un lato d’un continente intra-oceaniano, secondo quanto testimoniano i miti
insulari locali medesimi (82).
Passando da quella contrada
del mondo in Sudamerica attraverso la suddetta direzione pacifico-atlantica,
dato che la via era facilitata dalla presenza geografica d’un altra seconda
grande ecumene di cui perfino gli scienziati moderni hanno ipotizzato
l’esistenza chiamandola ‘Lemuria’ in base alla diffusione dei Lemuri sulle
terre bagnate dall’Oceano Indiano, la prima corrotta umanità ha dato luogo alla
prima perdita della purezza razziale.
Prima di allora esistevano unicamente 3 Razze: la Bianca (gli Adamiti),
la Gialla (gli Evaici) e la Nera (Cainiti e Lamechiti). A questo punto (83) è avvenuta un’ibridazione fra Sethiti (84) e Cainiti, dalla quale è provenuta una razza mista,
considerata dagli antichi giustamente impura (85).
Del pari la discesa di
Lamech ha segnato il passaggio d’un flusso migratorio uralo-altaico dalla
Siberia all’Asia Centrale (il Tūrān propriamente
detto) e dall’Asia Centrale alla Persia od
all’India preistoriche (86),
entrambe queste terre spingendosi una
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volta molto piú a sud di quelle odierne (87).
Il flusso legato alla figura di Seth (88) coincide invece col popolamento delle Americhe (89), o delle Atlantidi (90) stando alle antiche leggende. Seth è ritratto da Giuseppe Flavio come uomo
virtuoso e pacifico, capace di perfezionare le conoscenze degli astri (91).
Tali conoscenze sarebbero state scritte su 2 Colonne, una delle quali
sarebbe sopravvissuta (92).
Il Vishnuismo assegna del pari
a Rāma-candra, dominatore del VII
Ciclo Avatarico, attribuzioni non troppo dissimili da quelle di Seth; d’altra
parte, il biblico Seth corrisponde
sul piano etimologico al vedico Savitar (post-ved.Savitr), che il Kerbaker (93) paragonava una volta correttamente al lat.Sāturnus, var.Saviturnus. Il dio solare Savitar non è diverso peraltro da quel ‘Sole-dai-mille-petali’ che
nellla pratica tantrica il sādhaka incontra sul sommo capo nell’atto supremo di
realizzazione spirituale, benché in questo caso l’appellativo numinoso cui si
fa ricorso sia quello di Śiva (94). Chiudendo
il cerchio, non si può allora non ravvisare nella figura del secondo Rama, il
cd. ‘Rama-della Luna’ (o meglio del Lunus,
perché Candra in sanscrito è
maschile), un doppione a livello settario – è appunto ossequiato dai vaisnava – di
Savitar. Tant’è che la consorte del
secondo Rama vien denominata Sītā
(lett.‘Solco’, identificato microcosmicamente colla Yoni, a dimostrazione che Rama rappresentava in principio
un’incarnazione del Linga shivaico), nome il quale oltre ad esser l’anagramma di Satī (95) per inversione vocalica a parte
una lunga, risulta strettamente apparentato sia all’ebr.Seth (fen.Sath, eg.Set) che al lat.Sāt-urn-us (96) o – abbiamo visto sopra – al scr.Savit-r. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti esclusivamente d'una convergenza fonetica, ma i fattori concordanti fra le voci menzionate sono troppi per negare un'etimo comune ad esse, anche se non è qui la sede per analizzarlo compiutamente. Ad ulteriore prova
della veridicità della nostra deduzione sta il fatto che Sītā funga
da dea dell’agricoltura (97) e che
il suo consorte sia descritto e dipinto tradizionalmente con pelle di color
verde (98), in ciò
rispecchiando tratti tematici simbolicamente affini a quelli dei personaggi della serie mitica di Seth-Saturno.
Nel Rāmāyana Sita viene rapita da Rāvana coll’aiuto di Mārīca, ministro del Regno dei Rāksasa (Lankā, attuale Shri-Lanka), il quale con un artificio si trasforma in un Aureo Cervo attirando dietro di sé l’attenzione del principe Rāma. L’antefatto di questo rapimento però è l’innamoramento di Śūrpanakhā prima per Rāma e poi per Laksmana, in entrambi i casi non ricambiato. La qual cosa spinge la sorella di Ravana ad aggredire indispettita i
Nel Rāmāyana Sita viene rapita da Rāvana coll’aiuto di Mārīca, ministro del Regno dei Rāksasa (Lankā, attuale Shri-Lanka), il quale con un artificio si trasforma in un Aureo Cervo attirando dietro di sé l’attenzione del principe Rāma. L’antefatto di questo rapimento però è l’innamoramento di Śūrpanakhā prima per Rāma e poi per Laksmana, in entrambi i casi non ricambiato. La qual cosa spinge la sorella di Ravana ad aggredire indispettita i
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due fratelli insieme
a Sita ed allora Lakshmana, costretto a difendersi e nel contempo infastidito
da quest’interesse per loro, le taglia addirittura naso ed orecchie; ciò che
muove la povera Shurpanakha orrendamente mutilata a rivolgersi a suo fratello
Ravana, re dei Rakshasa, chiedendogli d’intervenire contro i due uomini e per vendetta
ghermire Sita. Ciò avvenuto, si scatena
la guerra contro il sovrano di Lanka, ove Rama è aiutato dal luogotente Hanumat a debellare i demonici nemici.
Al di là delle
localizzazioni rispettive dei miti e delle leggende prese in considerazione,
siamo convinti che il vero teatro delle imprese appena narrate sia stato in
ogni caso la primitiva Atlantide (99),
cioè l’America Meridionale del Tardo Paleolitico (c.23.920-17.440 a.C.). Se Rāmacandra è costretto a combattere contro il Regno di Lanka
e le sue asuriche truppe, nei confronti delle quali ha alfine la meglio;
nondimeno Seth alias Lamech (il secondo Lamech, tratteggiato emblematicamente
quale <padre> di Noè) deve battersi contro i Cainiti, quasi certamente
ibridati coi lamechiti (del primo Lamech).
Quest’ultima congettura è deducibile dal parallelo indiano, l’avversario
del principesco marito di Sita avendo in mezzo alle sue 10 Teste una Testa
d’Asino; dettaglio questo che, oltre a rimandare al Gigante Tifone di greca
memoria ed al mito della Gigantomachia, appare un chiaro rimando all’asterismo canopico. Ma Canopo fungeva da perno polare nel ciclo
precedente a quello di Rāmacandra, ossia nel Ciclo dell’Ariete, dominato da Paraśurāma; orbene, Parśu era nipote di Aurva, personificazione del
<Fuoco> della Cavalla Sottomarina secondo il De Santillana (100). Perciò ne deduciamo ulteriormente
che Parshu-Perseo non fosse, in fin dei conti, molto diverso da Ravana-Tifone
dalla Testa d’Asino; questo per il fatto che ogni avatara, terminato il suo
mandato celeste, alla chiusura del ciclo successivo fa da immancabilmente da
avversario finale all’avatara susseguente.
In parallelo anche a livello umano la contesa fra i divini (od angelici)
Sethiti ed i Giganti, nati dalla commistione fra alcuni sethiti sulla via della
corruzione e le belle cainite, chiude il ciclo con gran danno dei secondi dai
primi sconfitti. L’unica differenza è
che, in tal caso, gli sconfitti appartengono al V anziché al VI Ciclo
Avatarico; benché si debba tener conto che, rimanendo agl’insegnamenti biblici,
anche il primo Lamech discendeva in parte da Caino e quindi il ceppo cainita
non poteva che risultare ibrido.
Probabilmente codesto fattore fu addirittura determinante nella
corruzione del ceppo, poiché l’ibridazione – tanto animale quanto vegetale – non
produce il lussureggiamento bensí la sterilità (101).
I Sethiti fisicamente erano molto alti (102), come gli Abeliti, ed eran eran
denominati ‘Figli di El’ poiché dimoravano “ai cancelli del Paradiso”;
praticamente, sul limitare della zona circumpolare. Dopo l’unione colle discendenti di Caino sul
suolo americano finirono per perdere la loro aura luminosa, venendo meno alla
loro vita spirituale. Un’ultima cosa
rimane da aggiungere su Seth. Si
tramanda nella ‘Questua del Santo Graal’ (103),
la IV Parte del voluminoso Lancelot-Graal,
che Seth fu l’ultimo uomo a contemplare il Graal: da intendere ivi come la
percezione intima dell’unità dello Spirito umano e dello Spirito divino. Il che significa che il Paradiso Terrestre
non poté piú esser <visto> (104)
da occhi umani nei cicli seguenti, quasi a dire che lo sguardo degli uomini
dopo la ‘Caduta’ fu reso cieco ed estraneo alla verità persino sul piano
strettamente cosmografico. I Sethiti
appaiono pertanto come gli ultimi esuli del Paradiso e il IV Grande Anno è il
loro periodo di dominio. Esiodo
attribuisce tale periodo cronologico agli Eroi, ciò coincidendo colle vicende
spirituali dapprima di Seth (il secondo Lamech, ossia il secondo Rama) e poi di
Noè (il primo Noé, vale a dire il primo Krishna od il primo Eracle se
preferiamo)(105), ritenuto il
<figlio> e cioè il successore di Seth prima del <Diluvio
Universale> di cui parla la Genesi. Ovvio che s’intenda, come per gli altri
patriarchi antidiluviani, oltre alle loro eminenti figure le fortunate genti
che vissero accanto a loro e ne videro o ne narrarono le gesta. Queste gesta, ripetiamo, dovettero svolgersi
nel caso di Seth in America (o nell’Atlantide) Meridionale e nel caso di Noè
nell’America (o nell’Atlantide) Centrale; la quale, quantunque oggi si sia
ridotta ad una lingua di terra non molto estesa in superficie, doveva prima
della Grande Inondazione tramandata da Platone estendersi in varie grandi isole
dislocate nella zona andino-caraibica.
Per Platone l’accadimento risalirebbe ad una data posteriore a quella
della fine del IV Grande Anno, ossia il 10.960 a.C. Questi 1.400 di differenza non son facili da
spiegare, ma come possiamo constatare oggidí col senno del poi neanche nel
2.000 d.C. si sono verificati gli eventi catastrofici previsti dalle profezie
varie per la fine ciclica del Grande Eone. Che significa questo, che le profezie sono
soltanto delle favole? No, di
certo. In fondo, proprio la
testimonianza di Solone appresa dagli Egizi e trasmessa al suo discendente,
postula che gli eventi diluviali si verificano; ma non nella data prevista, qualche
tempo dopo insomma. Ciò che si può
spiegare cosí in termini astrologici, senza scadere nell’irrazionale o nel
miracolistico: le arcidiscusse settemplici congiunzioni planetarie determinano
sconvolgimenti tali nel nostro pianeta allorché accadono alla fine dell’eone (ogni
6.480 anni) da provocare le catastrofi tramandate dagli antichi; sennonché, per
fattori geomagnetici quasi imponderabili, tali calamità slittano in avanti in
una data difficile da pronosticare. Con
tutta probabilità lo scioglimento dei ghiacci per fattori astronomici difficili
da individuare con precisione (maggiore esposizione ai raggi solari per via
d’un avvicinamento periodico del globo terrestre al sole, o qualcosa del
genere) provoca inondazioni, le quali a lungo andare si ripercuotono sulle
terre ricoperte dalle acque facendole sprofondare e determinando in tal modo
uno sconquasso a catena della superficie terrestre, che alterando le correnti
oceaniche, fa di volta in volta raggelare alcune lande disgelandone altre.
C’informa il solito Guénon (106) che, dopo il Diluvio che
distrusse la Terra Iperborea, i discendenti degli uomini iperborei si siano
rifugiati in una terra adiacente ove “il giorno piú lungo era il doppio di
quello piú corto”. In temini numerici,
dobbiamo ritenere dunque che il giorno piú lungo fosse di 16 h e quello piú
corto di 8. Dato che nell’Italia
Settentrionale (107) la differenza oraria fra i due solstizi è di appena 4 h, durando
la giornata al massimo 14h ed al minimo 10, si può calcolare vagamente a quale
latitudine si trovassero quegli uomini.
Questa terra, esaminando la cartina geografica, doveva trovarsi ad una
lat. di c.65°N, pressappoco dove è oggi la Groenlandia; la quale circa mille anni fa era molto piú verde di oggi, tanto che nel sud dell'isola si praticava l'agricoltura e l'allevamento, come testimoniano i Vichinghi nel loro passato (vedi esilio di Erik il Rosso). L’Atlantide Iperborea non era forse nient'altro che questa landa, abituata a condizioni climatiche probabilmente addirittura migliori che nel Medioevo, a causa della Corrente del Golfo; che, deviata un tempo dall'Atlantide andino-caraibica, andava a lambire l'America Settentrionale lasciando l'Islanda (lett. 'Terra dei ghiacci') in condizioni simili a quelli dell'attuale Groenlandia o qualcosa del genere. Tale ecumene non può esser annoverata nell'ambito del IV Grande Anno,
il Ciclo della Razza Rossa, dato che rientra già nel V; e tantomeno nel I, inquantoché
sia cosmograficamente sia cronologicamente essa si situa al di fuori della
cultura artica. La definizione di
‘Atlantide Iperborea’ è appropriata, provenendo questa cultura subartica
dall’incontro di due componenti etniche, una boreal-orientale e l’altra centro-atlantidea. Quivi si collocano le origini dell’etnia iafetica,
che Guénon ad esser sinceri non ha colto appieno (108).
Note
(82) In particolare quelli
relativi alla ‘pesca delle isole’ da parte d’un nume, dopo che un continente
era sprofondato in precedenza; è evidente che tali isole sono quindi una
riemersione di dorsali oceaniche dapprima sprofondate, ragion per cui ha poco
senso la datazione di arrivo in esse delle attuali popolazioni che le
abitano. Sicuramente il ripopolamento
insulare non ha potuto concretarsi senza l’apporto di dati tradizionali ancestrali,
non facili da distinguere tuttavia da quelli che si sono sovrapposti
successivamente. L’esistenza di terre
paradisiache orientali ormai orrimediabilmente perdute, proprio come in
Occidente, è attestata abbondantemente nella tradizione cinese e limitatamente
anche in quella giapponese. Per una
visione d’insieme vide G.Acerbi, La saga universale del Pesce e del Re
Pescatore. Indagine iconologica e cosmografica sugli sviluppi ciclici della
Rivelazione Primordiale– Quaderni di Simmetria, Roma (programmato per la
primavera del 2017), Capp. III-IV passim.
(83) Ciclicamente trattasi della
prima metà del IV Grande Anno, detto in termini greci (il IV Mahāyuga in termini induisti).
(84) Da ciò si può dedurre,
indirettamente, che prima dell’ibridazione i Sethiti appartenevano ancora alla
Razza Bianca, benché al secondo ramo (nordorientale) della stessa; ecco il
motivo per cui la tradizione apocrifa ebraica li definisce ‘Figli di El’, in
altre parole una divina progenie. E li
descrive alti, intellettivamente ispirati e dediti alla meditazione. Non bisogna dimenticare, a tal proposito, che
l’etnia di provenienza dei Sethiti non è tanto la Razza Gialla secondo quel che
si sostiene in genere, quanto la razza Bianca;
con riferimento, precisamente, al ceppo paleoasiatico oppure a quello
mongoloide. Questi ceppi, risultando sul
suolo americano prevalenti rispetto all’altro pigmeo-negroide d’origine
pacifico-atlantica, han determinato tutto quel che si osserva comunemente
(caratteri fisico-mentali, costumi, linguaggi) nella Razza Rossa. Ancor oggi, per influenza certamente dalle
teorie etnologiche moderne, la tipologia amerinda dagli ‘occhi a mandorla’
viene localmente chiamata «cinese»; di contro all’altra, pigmeo-negroide, di
cui dicevasi sopra e che non trova riscontro alcuno (anzi, ne è apertamente
negato il ruolo) nelle teorie antropiche contemporanee. Tuttavia va precisato che, oltre alla
mancanza d’una teoria antropologica che spieghi il contrasto fra codeste due
tipologie fondamentali presso le popolazioni indigene amerinde (apporti etnici
d’origine europea a parte), va rilevato che pure gli abitanti della Cina sono
soltanto per un terzo dei ‘gialli’ di lontana origine pacifica; un altro terzo
è rappresentato da vetusti discendenti del ceppo paleoasiatico ed un altro
terzo ancora da genti di provenienza altaica, protomongolide insomma. Sia gli Altaici che i Paleoasiatici appartengono
al ramo nordorientale della Razza Bianca, mentre i Proto-oceaniani discendono
dal ramo orientale della Razza Gialla.
(85) Non è questione di
razzismo. Come insegnano gli Zingari
(G.Acerbi, I
Pañcajana, le ‘Cinque Razze’ degli Zingari e i ‘Semi’ del Tarocco- Algiza, N°12, Chiavari [Ge] 1999, pp. 16-9), che
sono d’origine indiana, solamente le prime 3 Razze (la Bianca, la Gialla e la
Nera) possono venir reputate pure ossia non ibridate; le altre 2 (la Rossa e la
Bruna) sono spurie, siccome commiste. La commistione delle razze e delle caste è un
fenomeno verificatosi in piccole dimensioni a cominciare dal IV Grande Anno
(23.920-10.960 a.C.),
estrapolando dai testi sacri di varie tradizioni; praticamente, detto in
termini archeologici, nella fase finale del Tardo Paleolitico. In grandi dimensioni si è verificato, invece,
a partire dal V Grande Anno; cioè in tempi post-diluviali (post-mesolitici),
con aumento del fenomeno in tempi post-babelici (post-neolitici). Sebbene nella Bibbia l’accento dell’azione corruttiva nimrodica sia posto sulle
lingue, anziché sulle etnie, ma è in sostanza la stessa cosa, poiché non esiste
etnia senza linguaggio. La cosmologia
mitica indiana, in parallelo, pone la corruzione finale del genere umano nel Kaliyuga, la ‘Quartà Età’ ciclica.
(86) È la tradizione zingara –
probabilmente la componente rom di questa – a dichiararlo (Ac., art.cit., pp. 16-7), ma pure l’Ermetismo occultista sorto
fra l’inizio del XIX sec. e l’inizio del XX, la cosa essendo stata trasmessa
persino a Guénon. Gli studiosi del
Novecento però hanno finito per confondere siffatta tradizione turanica con
quella d’origine degli Indoeuropei (sarebbe meglio tornare a chiamarli Iafeti), che è veramente altra cosa;
giacché non ha niente a che fare coll’Asia Centrale, se non per un periodo
cronologico assai limitato.
(87) Circa l’estensione maggiore a sud
dell’Asia Meridionale vi sono tradizioni popolari dravidiche ed altre
letterarie puraniche a suggerrilo.
(88) In base a quel che abbiamo
stabilito alla 84, è chiaro che per i Sethiti durante la loro primitiva
espansione in ambito nord-americano si potrebbe realmente parlare di
«idiovariazione» nei confronti del ceppo di razza bianca originario, come
pretendevano un tempo il Wirth ed Evola (cfr. Ac., L’Is. B. sgg.). Pur di considerare quale archetipo primevo
non il ramo artico della Razza Bianca, bensí il ramo subartico-nordorientale
della medesima, disceso al pari delle genti turaniche dal mitico Śākadvīpa ed a propria volta
formato da due suddivisioni etniche: il ceppo altaico (proto-mongoloide) e
quello paleoasiatico, quest’ultimo probabilmente derivato da un’ibridazione
degli Adamiti coi Pre-adamiti. Il primo
parrebbe connesso alla vera e propria discesa di Seth (s’intende, i Sethiti)
verso Sud, databile pressappoco fra il 30.000 e il 20.000 a.C.; il secondo,
entrato sul suolo americano in tempi maggiormente recenti ovvero attorno al 10.000 a.C. ed esteso
dall’Alaska alla Costa Nordocciodentale della California, parrebbe rispecchiare
a differenza dell’altro la cultura primitiva dei cacciatori di grossi cetacei
diffusa nelle zone circumpolari asiatiche.
(89) A meno che esistessero già dei
pre-adamiti di tipo neanderthaliano anche nel Nuovo Continente (vedi n.prec.),
cosí come nell’Eurasia ed in Africa.
(90) L’idea di piú Atlantidi è stata proposta da P. Le Cour ed accettata – sia pur con riserve – da Guénon, ma è implicita nelle etnogenesi tradizionali narrate da popoli quali i Toltechi o gli Aztechi, i quali affermavano di discendere da una primordiale Tullàn o Aztlàn. Da notare che l’etimo di questi nomi suggerisce un’analogia della seconda parte di tali termini con l’ingl.land (‘terra’). Le antiche cosmografie, dalla Grecia all’India, implicavano d’altronde il trasferimento <a staffetta> della Tradizione da un’ecumene mitica (dvīpa per gl’indú) ad un’altra successiva secondo il percorso solare; quindi, partendo dall’Artide il flusso culturale si è diretto dapprima a NO, poi nelle seguenti direzioni: E, SE, S, Antartide, SO, O, NO ed infine al N. Si vedrà come la direzione occidentale comprende, perciò, 3 Ecumeni: una meridionale, una centrale ed una settentrionale, disposte piú o meno a livello geografico (estensione territoriale a parte) ove sono dislocate oggi le 3 Americhe. Al riguardo cfr. G.Acerbi, L’America e l’enigma delle 3 Atlantidi- Alle pendici del Monte Meru, blog (pross.). Circa l’Azt-lan, il nome significava ‘Terra Bianca’ a giudizio di Evola e sembra pertanto riferirsi alla Tula Iperborea; mentre il Tul-lan è probabile faccia riferimento alla Tula dell’America Settentrionale ossia la ‘Terza Atlantide’, che il Le Cour chiamava ‘Atlantide Iperborea’ (definizione parzialmente accettata anche da Guénon). A meno che vi sia stata una sovrapposizione di contenuti fra la prima e la seconda, onde si utlizzava il nome della prima per indicare la seconda e viceversa, come è successo in Grecia colla nozione di Thule ed in India con quella di Uttara Kuru.
(91) A Caino (il Vamana vishnuita) si deve la nozione di Anno Sacrificale (scr.Yajña) e la Ruota dei Sacrifici (Yajñacakra) ad esso connessa. Al V Ciclo Avatarico dobbiamo inoltre la tripartizione del cosmo, il culto dei solstizi e degli equinozi, nonché forse la scoperta del pianeta Mercurio – il Budha indú, ritratto come un nano e identificato in questo modo a Vāmana – oltre ai 4 già noti (Marte, Venere e i due luminari); a Lamech (Parshu-rama) la conoscenza dei 2 Poli e l’inversione del simbolismo adamico (artico), oltre alla scoperta probabilmente del pianeta Giove; a Seth la scoperta del pianeta Saturno, cosa che comportava l’acquisizione della conoscenza completa dell’Ebdomade planetario e quindi indirettamente la prima forma d’Alchimia.
(92) Sul piano alchemico le 2 Colonne richiamano quel che nel Templarismo massonico ha nome di Jakin e Boaz, insomma le 2 Colonne del Tempio di Salomone, emblema della polarità che è necessario coagulare per poter ottenere interiormente la Luce Astrale. L’unica colonna rimasta è ciò che in India chiamasi Suṣumnā, vale a dire la nāḍi (‘corrente’) centrale del corpo sottile – detta per eccellenza Brahma-nāḍi – nella quale occorre sciogliere alfine la coagulazione psichica prima ottenuta onde realizzare spiritualmente la ‘Grande Opera’; tantricamente è ritenuta contenere in nuce l’intero universo, essendo la strada (dal Mulādhāra al Sahasrāra) su cui scorre la Kuṇḍalinī. Sul piano semplicemente astrologico le 2 Colonne, una delle quali sparisce (è la cultura artica che vien meno), posssono riferirsi ai Poli; siccome il periodo cronologico cui si allude in codesto simbolismo è il VII Ciclo Avatarico, durante il quale è ancora parte del Polo Sud a dominare (si esamini negli studi di C.H. Hapgood e dei suoi seguaci Rand e Rose Flem-Ath l’importanza della cd. ’Antartide Anteriore’), sebbene la cultura sethita si estenda a tutto il Sudamerica. Ma, sfortunatamente, costoro, hanno confuso il VII e l’VIII Ciclo Avatarico fondendoli in uno solo; cfr. in proposito R. & R. Flem-Ath, La fine di Atlantide. Alla ricerca della civiltà misteriosamente inabissata sotto i ghiacci dell’Antartide- Piemme, Casal Monferrato [Al] 1997 (ed.or. When the Sky Fell. In search of Atlantis- Weidenfeld & Nicolson [Orion-books], Londra 1995), passim. Vero che i due cicli appartengono entrambi a quello della Razza Rossa, corrispondendo al IV Grande Anno, e che anche Guénon li unifica sul piano culturale attribuendoli parimenti all’Atlantide; ma una distinzione va comunque fatta, dato che l’uno è il Ciclo Sethita e l’altro il Ciclo Noaico (del ‘primo Noah’).
(93) M.Kerbaker, Saturno-Savitar e la leggenda dell’Età dell’Oro- Regia Univ., Napoli 1890, pp. 11-2.
(94) Non si dimentichi che il Ciclo di Seth, cosí come quello di Ramacandra, rientra nell’Età dell’Argento (il Tretā degli Indù) e che è perciò Śiva a signoreggiarlo in tutta la sua triplice suddivisione. Tanto per capirsi meglio, i 3 Avatāra tratayugici – che la Genesi designa come i 3 <Figli> di Adamo – sono delle incarnazioni shivaiche (assimilabili alle 3 Teste di Śiva) applicate al mondo australe ed in seguito vishnuizzate, esattamente come i 4 Avatāra satyayugici sono personificazioni brahmaniche (assimilabili alle 4 Teste di Brahmā) adattate al medesimo scopo. In pratica soltanto i 2 Avatāra dvaparayugici incarnano davvero il dio Visnu, volendo proprio dire la verità; mentre l’ultimo, kaliyugico, non è che una manifestazione di Durgā-Kālī (o, se si preferisce, del suo paredro Kāla, cioè della Śakti).
(95) Figlia di Dakṣa (incarnazione di Brahmā) e promessa sposa a Rudra-Śiva immolatasi nel fuoco dopo che codesto nume non era stato invitato al sacrificio allestito dal padre, onde era sorto Vīrabhadra (manifestazione terrifica di Shiva) al fine di farlo fallire. L’immolazione nel fuoco delle vedove è stato in passato ritenuto un costume vedico proprio della casta guerriera, ma oggi si crede che sia pre-vedico e che nel Ṛgveda si sia opportunamente cambiato l’ablat.agre (‘in principio’) con agne (‘nel fuoco’) per dare una sanzione vedica a questo tipo diffuso di ritualità.
(96) A.F. d’Olivet, Storia filosofica del genere umano-
Atanòr, Roma 1973 (ed.or. Histoire
philosophique du genre humain…, 2 voll., 1824 ; I ried.
Edit.Traditionnelles, Parigi 1966)
(97) M. & J. Stut., op.cit., s.v.S¦T}, p.404/ coll. a-b.
(98) Vedi G.Acerbi, I numi erano numeri: carattere matematico della
vetusta astrologia e della conseguente teogonia- Alle pendici del M.Meru, blog (24-07-11), fig.23/b. Questa sua pelle ha a che fare colla vetusta
natura proto-agraria di Saturno, che nei miti e nei riti dell’America
Precolombiana era associata ad un analogo Dio-Verde o Dio-Sette, distinto dal
piú recente Dio-Giallo (var. il Dio-Rosso) o Dio-Tredici. Cfr. R.Girard, La Bibbia maya. Il Popol-Vuh : storia culturale di un popolo- Jaca
Book, Milano 1976 (ed.or. Le popol-vuh.
Histoire culturelle des maya-quichés- Payot, Parigi 1972), Introd., pp.
26-7. Il Dio-Verde era appaiato al
computo calendariale basato sulle fasi lunari mensili e sulla conoscenza dei 7
Pianeti, il Dio-Giallo al computo basato sulle fasi solari annuali e sulla
conoscenza delle 12 Stelle Zodiacali (analoghe seppur non perfettamente coincidenti
colle costellazioni dei 12 Segni dello Zodiaco eurasiatico). Cfr. in proposito G.Acerbi, Kali, la dea-scorpione- Alle pendici del
M.Meru, blog (8-11-14), §3, pp. 9-10. Rama e Krishna, rispettivamente con pelle
verde e veste gialla-zafferano, costituiscono le
forme induizzate dei due numi amerindi antidiluviani (in una parola,
atlantidei).
(99) Per ‘Atlantide primitiva’
s’intenda ivi la fisionomia geografica ancestrale del Nuovo Continente,
soprattutto nel versante meridionale, caratterizzata di certo da una
conformazione orografica e da un quadro di terre emerse necessariamente
distanti da quelli attuali.
(100) G. de Santillana & H. von Dechend, Il Mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo-
Adelphi, Milano 1983 (ed.or. Hamlet’s
Mill. An essay on myth and the frame
of time, 1969), App.18, pp.449-51.
(101) Vedi
l’incrocio fra l’asino e il cavallo, da cui si ha il mulo, che è un animale
sterile. Quando non sia in gioco la
specie, ma una semplice varietà, si produce lo stesso un effetto simile. Difatti gl’ibridi vegetali vengono utilizzati
nell’agricoltura industrializzata odierna per rendere infeconde i prodotti per
la semina e costringere i consumatori, niente piú di questo essendo diventati ormai
gli agricoltori attuali, a ricomprare ogni anno i semi per l’inseminazione.
(102)
Gr. & Pat., op.cit., §18. n,
p.125.
(103) Passim.
(104) La
tematica graaliana del ‘vedere’ per conoscere equivale a quella amerinda del popol-vuh, cioè la visione popolare del
sacro in senso tradizionale.
(105)
La morte di Adamo (Grav. & Pat. , op.cit., §19.d, p.132) coincide secondo i testi ebraici apocrifi colla
nascita di Noè. Si può interpretare
codesto dato nel senso del passaggio tradizionale dal I Ciclo Avatarico
all’VIII, in altri termini della trasmissione della Rivelazione Primordiale
dalla Terra Iperborea all’Atlantide propriamente detta, quella
noaico-platonica.
(106) Guén,
Form., p.29.
(107) Siccome l'italia si estende da una Latitudine Nord di c.47° ad una di c.35°, in media sta attorno ai 40°, invece il Canada fra c.83° e c.41° e la Groenlandia fra c.83° e c.59° (la parte migliore insomma attorno ai 65°); mentre il Polo Artico, ovviamente, si trova a c.90°N. Facendo una media fra i 40° dell'Italia e i 90° dell'Artide, è chiaro che atttorno ai 65° la differenza d'ore fra i due solstizi sarà di 8h anziché di 4 come da noi.
(108) Bisogna aggiungere che l’autore francese, nell’intento di determinare il punto di congiungimento della tradizione iperborea con quella atlantidea (una vera ossessione di Guénon e della scuola guénoniana), al pari degli studi accademici non teneva conto dell’apporto cainita sul suolo americano. Onde si comprende bene dal suo testo chi sarebbero questi discendenti degl’Iperborei, che lui vedeva amalgamati fra le genti celtiche. Sicuramente, però, il dato è indiscutibile. Si trovano nel Druidismo rimandi indubbi alla Rivelazione Iperborea (noi preferiamo questo temine a quello di Tradizione): vedi ad es. le figure di Bran e di Manannan, due fratelli nei quali non è difficile ravvisare qualcosa di analogo alla non dualità brahmanica primeva fra l’Uomo (Manu) e la Divinità (il Brahma). Per un approfondimento del tema vedi G.Acerbi, Il Re Pescatore e il Pesce d’Oro- Quaderni di Simmetria, Roma (in corso di pubblic., dopo una ricerca pluriventennale, per la pross.primav.). Tuttavia Guénon è stato messo fuori-pista dagli studi di Tilak, che in apparenza hanno dato quel retroterra geografico-culturale mancante all’Indo-europeismo di maniera accademico, in gran parte basato sugli studi duméziliani; ma in realtà hanno aumentato la confusione nel settore, dal momento che non vi erano né testimonianze letterarie né reperti archeologici umani a testimonianza di quella tesi. Da parte nostra abbiamo cercato di chiarire il punto in un nostro scritto (Ac., L’Is. B., passim), distinguendo una assai arcaica discesa turanica dall’Asia Nordccidentale da una aria relativamente piú recente proveniente per via oceanica dall’America Settentrionale. Il problema cosí reimpostato, ad ogni modo, ci pare non sia tanto il momento (crediamo, l’età proto-storica) ed il luogo d’incontro di codesti due flussi migratori (l’Asia Centrale); quanto, piuttosto, il fatto che l’elemento iafetico fosse strettamente congiunto a quello semitico e camitico – come ci tramanda il racconto noaico – o meno.
(108) Bisogna aggiungere che l’autore francese, nell’intento di determinare il punto di congiungimento della tradizione iperborea con quella atlantidea (una vera ossessione di Guénon e della scuola guénoniana), al pari degli studi accademici non teneva conto dell’apporto cainita sul suolo americano. Onde si comprende bene dal suo testo chi sarebbero questi discendenti degl’Iperborei, che lui vedeva amalgamati fra le genti celtiche. Sicuramente, però, il dato è indiscutibile. Si trovano nel Druidismo rimandi indubbi alla Rivelazione Iperborea (noi preferiamo questo temine a quello di Tradizione): vedi ad es. le figure di Bran e di Manannan, due fratelli nei quali non è difficile ravvisare qualcosa di analogo alla non dualità brahmanica primeva fra l’Uomo (Manu) e la Divinità (il Brahma). Per un approfondimento del tema vedi G.Acerbi, Il Re Pescatore e il Pesce d’Oro- Quaderni di Simmetria, Roma (in corso di pubblic., dopo una ricerca pluriventennale, per la pross.primav.). Tuttavia Guénon è stato messo fuori-pista dagli studi di Tilak, che in apparenza hanno dato quel retroterra geografico-culturale mancante all’Indo-europeismo di maniera accademico, in gran parte basato sugli studi duméziliani; ma in realtà hanno aumentato la confusione nel settore, dal momento che non vi erano né testimonianze letterarie né reperti archeologici umani a testimonianza di quella tesi. Da parte nostra abbiamo cercato di chiarire il punto in un nostro scritto (Ac., L’Is. B., passim), distinguendo una assai arcaica discesa turanica dall’Asia Nordccidentale da una aria relativamente piú recente proveniente per via oceanica dall’America Settentrionale. Il problema cosí reimpostato, ad ogni modo, ci pare non sia tanto il momento (crediamo, l’età proto-storica) ed il luogo d’incontro di codesti due flussi migratori (l’Asia Centrale); quanto, piuttosto, il fatto che l’elemento iafetico fosse strettamente congiunto a quello semitico e camitico – come ci tramanda il racconto noaico – o meno.
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N.B.- Segni diacritici per attuare la correzione e punteggiatura:
ĀāĒēĪīīŌōŪūṚṛḶḷḥŻż
áíúóý âîûêôĴĵŷ È Ƒ ∂Ə ǝəᴂ ŚśṢṣŠšž ḌḍṬṭṄṅṆṇ ṁ ñ Ḥḥ –
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